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Escursione sul monte di Campli,
il 13 settembre del 1896.

Da rivista Abbruzzese XII(1897),II pp. 75/87 di Giacinto Pannella.  

Per i piaceri maggiori non bisogna dimenticare i minori. La vista del Gran Sasso è superba ; il suo orizzonte spazia a perdita d'occhio; ma non è di molti il salire lassù e il godervi l'altezza di tremila metri. In quella vece si elevano altri monti attorno, che fanno corteggio al Gigante degli Appennini ed offrono altre viste ed altri orizzonti, e compensano anch'essi la fatica dell'ascendere al sommo.E qui godiamo i piaceri minori con poca fatica e poca spesa, e li possiamo godere in compagnia di molti e in più tempi dell'anno; perciò non ce ne dobbiamo privare.
Nel lato settentrionale , quasi ai confini della Provincia Teramana, si staccano da la catena degli Appennini le due montagne di Campli e di Civitella

 


e si vedono,dai più, i paesi de la nostra provincia e di quella Ascolana. Questa loro posizione, quasi a metà strada fra Teramo ed Ascoli, la loro vicinanza e la forma elegante attirano lo sguardo dei visitatori, che vi salgono dalle due provincie limitrofe e vi godono un vasto orizzonte dagli altri monti al mare, dal Teramano a mezzodì fino agli ultimi lembi dell'Ascolano, a settentrione.
Alle due gemelle si sale e se ne discende per più vie mulattiere,lasciandoci in vari punti la strada interprovinciale di Ascoli e di Teramo. Chi muove da quest'ultima città o da paesi circonvicini, fa capo a Rojano o a Battaglia o a Guazzano per la montagna di Campli, e a Guazzano o a le Ripe per quella di Civitella.
Or ecco alcune note della nostra gita al monte di Campli, fatta il 13 settembre.
Contiamoci; siamo non molti, ma tutti forti delle nostre gambe e portati dalla voglia di toccare la cima. Così si fanno le escursioni, che riescono di maggiore utilità insieme e diletto: pochi, validi e volenterosi. Alle sei del mattino giungiamo al ponte di Garrufo e , alle sette , a Guazzano o Piedimonte. E qua vediamo crescere il drappello d'un pedone, d'un portatore e d'un amico il quale ci fa anche da guida, chè quasi tutti dei paesi alle falde dei nostri monti sono buoni a tale servizio.
Ci permettiamo il lusso anche di due mule e ne prendiamo nota per dire, a chi ne volesse usare, che sul dorso loro si può salire fino alla vetta.
Costeggiamo le Pietregrosse e volteggiando per gli ultimi colli, entriamo per un sentiero segnato appena nella boscaglia, che col suo fogliame ancor verde conforta il nostro occhio stanco da la vista del terreno brullo attorno alle falde. Fin dal principio del salire prendiamo diletto a rimuovere dal viso , a destra e a sinistra, virgulti e alberelli, fronde e cespi, e calchiamo uno strato d'erbe fiorite ed odorose, che ne sembra andare su soffice tappeto disteso nel nostro passare dalle ninfe boscherecce, invisibili ai nostri occhi profani.
Questo trionfo di verde in forma di zolle e di cespugli che son di fragole, di viole di gigli , di rose montanine e via, vien fuori dalla superficie lasciata libera dall'ornella, dalla ghirlanda, dalla sorbarola, dai peri, dai meli, dai ciliegi silvestri, dai carpini, dai ginepri, di rovi, dai frassini e dai faggeti che s'avviano a diventar alberi per i nostri nipoti. Queste piante portano tra le ciocche delle foglie e tra le fronde quali fiori e bacche, quali frutte acerbe e quali mature, e soddisfano la vista e non il gusto, tranne gli avellani con le nocciole, che calmano i primi stimoli del nostro appetito. Tanta festa d'erbe e di piante e varii colori, a foggia e altezza differenti, fa grato spettacolo a torno di noi e forma ombra e frescura alla luce frastagliata del giorno.
E si sale e si gode del salire.
A un mille passi si apre avanti ai nostri occhi, a sinistra , una radura larga un cento metri, circondata dagli arbusti della boscaglia; è il vivaio delle piantine , un di amore e oggetto di sollecite cure del brigadiere delle guardie forestali, Gallerizzi; ora non più; una piccola capanna di pietre a secco biancheggianti al sole, qualche solco, dei cespi e dei ripari indicano l'opera dell'uomo, ma fra poco ancora ogni traccia ne sarà scomparsa e la forza della natura silvestre si riprenderà il suo dominio antico. Non si potrebbe anch'oggi tenerlo vivo? Lo raccomandiamo all'ispettore delle nostre foreste; ma andiamo avanti.
A un mille metri d'altezza una radura di piante ancora, e più su, altre radure. Queste, ricche di erbe, sono pascoli eccellenti,chè già la presenza di mandre e mandriani, di capanne conteste di pietre a secco tutte biancheggianti, simili a quella del vivaio, un tentennio monotono e un abbaiare di cani ce lo dicono chiaramente.
Così dopo due ore di salita, piegando ad occidente del monte, giungiamo

alla regione dei prati e ci rifocilliamo su un poggio, alla fontana della selva rotonda.

È un abbeveratoio per le bestie, ma con un po' d'arte potrebbe servire da fontana comodamente anche agli uomini, facendo sgorgare per una cannella dal sommo de la parete del truogolo addossata al monte, la più ricca polla d'acqua E quest'altra opera raccomandiamo al Comune di Campli, che ne ha cura e sostiene la spesa della muratura annuale per ragione dei geli.
Lasciamo alle 9 ½ il fonte libero alle bestie in pastura attorno, impedite a bere da la nostra presenza; ma alcune mule e cavalle, altere ancora de la loro fierezza indomita, sprezzando le nostre grida e le braccia ed anche i randelli,vennero, s'abbeverarono e , signore del loco, tornarono superbamente alla pastura.
Esse con la loro resistenza fanno ripensare a molti, lasciati nel piano e confusi in altri armenti, i quali non sanno che cedere e cedere anima e corpo ;ma già le bestie vivono in alto e gli uomini in basso!
Dopo un'ora calchiamo la vetta ,splendida la giornata ,splendida la veduta a mille settecento ventuno metri!
Sempre dal monte la prima occhiata è al mare.
Ci si spiega, avanti, dal Conero al Gargano, da Ancona a Manfredonia, il bell' Adriatico nereggiante con le sue spiagge ricche di piante e di ville, di giardini e di città. Tutto ci sembra a pochi passi;la strada ferrata in più punti solleva lunghe strisce e alti pinnacoli di fumo; qualche bagnante in ritardo si aggira sulle arene; le paranzelle si accostano alla riva

 
 

dondolando di più le loro povere velette a due tinte, mentre in lontananza fugge per la sua rotta un piroscafo mercantile; alle loro foci i torrenti e i fiumi segnano con le correnti strie serpeggianti tra le onde, che tosto vengono cancellate dal mare; sembra che questo ascolti i nostri saluti. Siffatta vicinanza al mare delle nostre Gemelle è notevole, e pochi altri monti d'Italia ne godono, e la lontananza di un cinquanta chilometri dal colosso del Gran Sasso dà loro libero e largo orizzonte e compensa così in paragone la poca altezza.
Come facciamo volentieri un giro attorno! Fiumi e strade quali nastri scintillanti ci conducono dal mare ai monti: la Maiella , i due Corni, Intermesoli, il Pizzo di Sevo chiudono l'occidente.A nome delle gentili Gemelle ricambiamo loro i saluti mandate ad esse pochi mesi prima,lungo il Rio Arno dalla Portella, dal Ghiacciaio e dal Corno Grande(1). Salutiamo le sedi dell'uomo,grandi e piccole: a Teramo e a Campli inviamo i primi saluti e poi ad altre e ad altre, secondo le nostre affezioni. Come più si sentono sui monti l'origine e la ragione della fratellanza umana e la forza dell'affetto al loco natio!
Da vicino, ad occidente e a settentrione, si notano le vette Foltrone, Monticchio, di Magnanella, Selva Rotonda, Monte Natale, Monte Farina, Monte Tignoso , Sannata

 


Da lungi nereggia il Bosco Martese e si eleva su tutto il pizzo di Sevo nella sua forma piramidale. Dai loro fianchi scaturiscono le sorgenti del Salinello, del Castellano e del Tronto. Questo ne fa pensare ad Ascoli vicina, ma nascosta dietro le alte ripe del Castellano. In quella vece quasi tutta la sua provincia si distende sotto gli occhi.
Raccogliamo gli sguardi intorno alla Gemella ,

dal bel nome dei Fiori , divisa solo da noi dal Salino; sembra ad un tirar di pietra , un passo da giganti Paladini, un di ( vide l'antica fantasia) forti abitatori delle Gemelle. Già la distinguiamo meta d'una seconda escursione, che ci dovrà far veder più da vicino Civitella, che le dà il nome, e le altre rocche attorno. Tra le Gemelle a settentrione non attirano lo sguardo nostro nè Valle da Borea, nè Valle da Sole , nè i Canavini appollaiati su le ripe del Salinello, ma certe vecchie mura ergentesi su un alto piano a ridosso del Monte dei Fiori. É il Castello di Re Manfrino e sarà la nostra prima sosta della seconda salita.
Dolce è girare lo sguardo attorno più volte, sentirsi alitare sul viso fresca auretta, e sedere su molle verzura,ornamento della vetta senza piante, tranne qualche cespuglio di ginepro

 
che, spintosi con audacia fin lassù, vi vegeta miseramente.
Quà e là biancheggiano al sole capanne di mandriani e vi pascolano greggi di pecore e cavalle. Pochi pastori vi rappresentano tranquillamente la società umana.
D'uno sguardo si comprende appieno la ricchezza dei pascoli del monte e , dove cessano questi, la bellezza dei boschi crescenti attorno, oggi custoditi e governati con cure gelose dal Comune e dalla Provincia. Ricordiamo con piacere l'opera intelligente spesasi dall'Ispettore forestale, L. Angelini, ahi! troppo presto rapito ai nostri monti (2). I suoi primi vivai, le prime piantagioni e i primi tagli regolari dànno oggi tanta ricchezza e altra ne promettono, se si segnano i dettami della scienza forestale. O perchè non si rivestono di piante gli altri monti a torno? Il rivestimento, dopo tanti secoli di rapina , è vera opera di riparazione giovevole all'igiene e a l'economia delle vette e de le valli fino al mare. La grata vista e la grande utilità de lo scendere delle piante sin giù alle falde !
Non senza rincrescimento lasciamo la vita del monte per tornare a quella del piano. Caliamo ad oriente pei prati ed entriamo di nuovo nella boscaglia, sempre gradita per la ricchezza delle piante e per la sua ombra.
A metà costa, a un mille metri, desta la nostra curiosità un masso di apparenza strana: ha sei fori naturali, per disegno quasi corazza di guerriero, o carcassa di fiera;sembra osso e leggiero, ma alla prova è pietra, e pesa un venti chili. Da la curiosità alla discussione, e si ritiene una magnifica stalattite, e si carica su una mula, chè si comprende subito la sua importanza non tanto per la forma strana, quanto per la questione (3) sul lago esistito tra le Gemelle e le altre vette attorno, e poi scomparso per la rottura di qualche parete. Insomma si caricò, e una graziosa figlia dei monti a Garrufo l'apostrofò nel suo dialetto: Gesù, Maria, portan via pure le pietre!
E noi si guardò e si rise con essa. Così, ripreso il piano, si compì la nostra escursione del giorno 13 sul monte di Campli, cominciata bene e finita meglio, dopo tre ore di salita e due di discesa.